Lampedusa, Lesbos… le parole che spaventano i politici, quando a pronunciarle restano gli artisti

domenica, 14 febbraio 2016

Pare che il film-documentario “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi abbia conseguito un grande successo al Festival di Berlino. Racconta il luogo d’Italia più evocato e meditato e agognato nel mondo contemporaneo: l’isola di Lampedusa. La meta dei migranti, da raggiungere a tutti i costi. Proprio come l’isola di Lesbos più a est, sul bordo greco della Turchia.
Sul tema del viaggio dei migranti, giustamente riconosciuto cruciale passaggio al centro della nostra epoca, si esercitano ormai -giustamente, inevitabilmente- i talenti artistici e mistici più diversi. Scrittori, poeti, registi, cantanti, preti, mistici di ogni fede. Oltre che medici, marinai e volontari dell’accoglienza.
Gli unici che alle parole Lampedusa o Lesbos fremono di fastidio, e magari fanno gli scongiuri di nascosto sotto la scrivania, sono gli uomini di governo. Sentono che Lampedusa e Lesbos simboleggiano il dilemma fondamentale su cui sono chiamati a scegliere, ma proprio per questo lo rifuggono.
Leggo, intanto, che i paesi del cosiddetto Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) starebbero approntando un dispositivo per “sigillare” la rotta balcanica dei migranti. Auguri, nuove esibizioni di squallore in vista.

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