I veri dati sull’occupazione creata dal Jobs Act

sabato, 20 febbraio 2016

La risposta del Governo, per via del sottosegretario all’Economia Tommaso Nannicini, all’indagine di Bankitalia sulla spinta occupazionale fornita dal Jobs Act è stata piuttosto debole.” Per ora dobbiamo limitarci alla valutazione sui dati aggregati, che danno indicazioni sull’effetto di stabilizzazione del Jobs Act sulle forme contrattuali, poi vedremo. Avere studi precisi su come separare l’effetto dell’esonero contributivo dall’effetto del Jobs Act è davvero molto difficile”, riporta “La Repubblica” di sabato 20 febbraio 2016. Il giorno precedente “La Repubblica” aveva diffuso in anteprima, in un articolo di Ferdinando Giugliano, uno studio di Bankitalia sull’effetto occupazionale delle principali misure sul lavoro adottate dal Governo Renzi a fine 2014.

Da una parte il Jobs Act, e nello specifico il nuovo contratto a tempo indeterminato con la revisione dell’articolo 18, dall’altra il maxi sgravio contributivo per 3 anni previsto per le aziende che avrebbero assunto a tempo indeterminato nel 2015.” Il lavoro di Paolo Sestito, capo del servizio Struttura Economica di Bankitalia, e Eliana Viviano utilizza dati provenienti dal Veneto e relativi ai mesi tra gennaio 2013 e giugno 2015. I due ricercatori scrivono che circa il 45% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute in quel periodo sono attribuibili ad almeno una delle due misure. «Le due politiche hanno avuto successo sia nel ridurre il dualismo del mercato sia nello stimolare la domanda di lavoro, anche durante una recessione caratterizzata da un’altissima incertezza macroeconomica», scrivono gli autori. Questo effetto positivo è però quasi interamente spiegato dall’introduzione degli incentivi fiscali, mentre la combinazione del contratto a tutele crescenti e degli incentivi spiega solo il 5% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato. Poiché questo tipo di contratti sono un quinto delle nuove assunzioni nel campione, i ricercatori trovano che il Jobs Act ha contribuito a creare appena l’1% dei nuovi posti.Gli studiosi di Bankitalia trovano che, estrapolando il dato veneto a tutto il territorio nazionale, il pacchetto di misure formato da Jobs Act e incentivi ha contribuito a creare circa 45.000 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato nei primi sei mesi del 2015. Lo studio ha delle limitazioni: gli autori dicono di non poter fornire una valutazione complessiva delle nuove regole sui licenziamenti, né di riuscire a stimare quale potrebbe essere l’impatto di un’eventuale rimozione degli incentivi statali. Essi sottolineano inoltre che l’aumento delle assunzioni nei primi mesi del 2015 potrebbe essere stato determinato dall’attesa per le nuove misure già a partire dal 2014″. Lo studio di Bankitalia ha dei limiti come tutte le ricerche di questo tipo, ma calibra senz’altro in modo più corretto la discussione sul Jobs Act, la riforma più importante del Governo Renzi. La ricerca prende in esame solo i primi sei mesi dell’anno, una fase in cui la dinamica occupazionale appariva migliore rispetto all’attuale. La crescita nel 2015 è stata inferiore alle aspettative, e nel 2016 sono già arrivati segnali preoccupanti, sui mercati finanziari così come nei primi dati su produzione industriale.  Sull’occupazione il Governo ha spesso avuto la colpa di propagandare i dati Inps, che registrano i flussi lordi dei contratti, come se fossero i numeri di nuova occupazione creata, generando una sensibile confusione. Il Jobs Act ha migliorato parzialmente la qualità dell’occupazione, a prezzo però di un nuovo contratto di lavoro meno stabile del precedente. Sulla produttività non si sono registrati per ora miglioramenti, e l’esplosione dei voucher – così come la maggior parte dei nuovi posti di lavoro creati a part-time involontario, come registra Istat da mesi – segnalano un’ulteriore debolezza. Lo studio di Bankitalia fornisce un elemento ulteriore di riflessione, importante per rendere più aderente alla realtà dati occupazionali ed economici deludenti. 

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