Rodolfo De Benedetti, John Elkann e le incognite sul futuro del giornalismo italiano

giovedì, 3 marzo 2016

Non si trova in giro una foto che ritragga insieme Rodolfo De Benedetti, presidente della Cir che controlla fra l’altro i giornali del Gruppo L’Espresso, e John Elkann, a sua volta presidente della Fca e delle società finanziarie attraverso cui la famiglia Agnelli controlla La Stampa, Il Secolo XIX e detiene il maggior pacchetto azionario di Rcs.
Nè Rodolfo De Benedetti nè John Elkann possono più definirsi giovani. Sono uomini che esercitano ruoli, sia da azionista sia di gestione, a seguito di un passaggio generazionale compiutosi negli anni scorsi. Entrambi detestano l’esibizione mondana e parlano malvolentieri davanti a un microfono.
Diciamo che hanno il potere ma non amano esibirlo come si usava nella generazione precedente. Sono italiani con una buona parte della loro esperienza di vita e alcune relazioni esistenziali fondamentali radicate altrove. La politica romana gli interessa molto relativamente. Hanno passioni civili, non restano indifferenti di fronte ai drammi contemporanei, ma la loro formazione è nettamente proiettata sullo spirito d’impresa. Non disprezzano la cultura, anzi, ma si sono formati nella logica anglosassone di priorità assoluta del profitto.
Sono la nuova declinazione di un padronato italiano di successo, cosmopolita fin dall’infanzia ma divenuto adulto senza troppa voglia di comparire in pubblico. Il cartello editoriale che metteranno insieme -per rinviare di qualche anno il prevedibile ridimensionamento del settore della carta stampata- sarà animato da questa sintonia anche generazionale, di cui il giornalismo di Mario Calabresi è una tipica espressione. Un cambio di mentalità, anche. Ampie deleghe operative ai manager, che si chiamino Marchionne o Monica Mondanrdini.
Al di là dei (non indifferenti) problemi di antitrust posti dalla concentrazione fra i giornali del Gruppo Espresso e della famiglia Elkann-Agnelli, alleanza difensiva per sopravvivere al pericolo di chiusura in cui incorreranno tante altre testate giornalistiche, possiamo interrogarci su quale informazione ne verrà fuori, visto chi guida il ricambio generazionale.
Più distaccata e competente, ma con l’istinto di aggirare gli spigoli? I giornali sono fatti di notizie ma anche di passioni e emozioni nelle quali il lettore s’identifica: c’è il rischio che si spengano man mano che gli “esperti” prendono il posto degli “opinion makers”? Prevarrà la logica del giornale contropotere o del giornale distaccato che non vuole grane col potere? Dismettere le vecchie ideologie usurate non lascerà spoglie tante pagine a cui ci rivolgevamo anche per condividere sentimenti e visioni del mondo? (penso a vicende come quella dei profughi o del fanatismo apocalittico che soffia dal Mediterraneo all’Europa)
Ho lavorato con libertà e gioia all’Espresso, alla Stampa, a Repubblica dal 1983 fino all’anno scorso. E’ un legame che non s’interrompe facilmente. Riconosco che il nuovo sodalizio ha non solo una logica economica, ma anche una base d’intesa culturale. Resta da chiedersi, nel tempo, quanto si rivelerà in sintonia con l’anima dei vecchi e dei nuovi lettori.

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