Sapessi com’è strano presentare una lista di sinistra a Milano

sabato, 12 marzo 2016

Milano è la città in cui, negli ultimi cinque anni, le diverse anime della sinistra sono riuscite a governare insieme nonostante le divisioni nazionali. Milano è anche la città in cui le primarie del centrosinistra hanno coinvolto circa il doppio dei partecipanti rispetto a Roma e Napoli, senza ombre sull’esito del voto. Una bella eccezione.
A questo punto logica vorrebbe che la sinistra milanese che non era riuscita a mettersi d’accordo nel voto delle primarie, favorendo con le sue divisioni la vittoria di Beppe Sala, si presenti unita alle elezioni di giugno, a sostegno di quello che è diventato il candidato di tutti. E’ lo stesso Sala ad augurarsi pubblicamente che la sinistra milanese si dia una mossa, tanto più dopo che i suoi consensi alle primarie sono risultati inferiori alle aspettative, quanto a “sfondamento” nell’elettorato di centro moderato. Ne consegue che Sala ha un bisogno vitale non solo del sostegno di Pisapia, ma anche di una vera forte mobilitazione dell’elettorato di sinistra che fatica a riconoscersi nel candidato manager e già rimpiange il compagno Giuliano. Se a sinistra prevalesse l’astensionismo, il rischio è che si consumi rapidamente il vantaggio di cui oggi Sala gode nei confronti dell’abile Stefano Parisi.
Insomma, a parole sembrerebbero volerla tutti, questa offerta politica rivolta da sinistra all’elettorato milanese. Perfino i dirigenti renziani del Pd milanese, che in teoria dovrebbero patire questa “separazione consensuale”, invece la considerano necessaria. Fino al punto di contemplare una inusuale deroga allo statuto del Pd affinché possano candidarsi nella lista alleata-concorrente anche esponenti iscritti al loro partito. Che bello. Ancora una volta Milano sarebbe laboratorio di un esperimento innovativo della sinistra, capace di restare unita al servizio della città nonostante le divisioni politiche nazionali…
Bello, sì. Ma troppo bello per essere vero. Perché nel mentre Sala taceva e aspettava -un po’ disorientato dalle dinamiche del professionismo politico- gli stessi che a parole sollecitavano la nascita di una lista alla loro sinistra cominciavano silenziosamente a scavare la loro trincea. Compiaciuti di essersi presi la rivincita su Pisapia nelle primarie, mal dissimulano l’impulso a ridimensionarne l’influenza sugli assetti futuri della città. Hanno cominciato a circolare elenchi di quali iscritti Pd potevano e quali non potevano candidarsi nella lista di sinistra. E visto che a guidarla doveva essere Francesca Balzani, portavoce del 34% degli elettori delle primarie, si è manifestato un netto rifiuto preventivo a discutere quale potere effettivo tale componente avrebbe esercitato in una eventuale futura amministrazione Sala. L’argomento veniva liquidato come volgare, come se non ci fosse alcun patto politico da stipulare sugli equilibri del dopo Pisapia, e quella fosse solo questione di poltrone. E’ il classico mantra “parliamo di programmi, non di poltrone”, che viene sempre recitato in pubblico dagli specialisti nella ripartizione delle poltrone. Così, dietro le quinte, la Balzani ha cominciato a essere accusata di mire personali, ha capito che era in atto una manovra per delegittimarne il ruolo di portavoce della sinistra milanese da lei conquistato sul campo, e ha deciso di riprendersi la sua libertà. In pratica, ha rinunciato a guidare la lista di sinistra, pur considerandosi lo stesso impegnata nella campagna elettorale in appoggio a Sala.
Di conseguenza, Sel milanese pare in procinto di sganciarsi dalla coalizione che sostiene Sala, come da tempo le viene richiesto da Roma. E la tanto invocata lista di sinistra rischia di venir confezionata direttamente dalla sartoria di coloro che non ne faranno parte, trasformandosi in una specie di lista civetta.
Qualcuno si illude di risolvere il problema semplicemente sostituendo Francesca Balzani, come se lei esprimesse solo un disagio privato. Magari chiedendo a Giuliano Pisapia di fare lui il capolista della sinistra milanese, riempiendo col suo prestigio il vuoto politico venuto a determinarsi. O in subordine accontentandosi di presentare a sinistra qualche altra personalità che si presti alla bisogna.
Mentre gli esponenti milanesi di Sel trovavano il coraggio di differenziarsi dalle scelte nazionali del partito, pur di dare continuità a una felice esperienza di sinistra di governo, la minoranza interna del Pd sembra restare accoccolata in una mera prospettiva di sopravvivenza. Senza trovare il coraggio di aprirsi, contribuendo a offrire al vasto elettorato di sinistra milanese quel riferimento di cui tutti lamentano l’assenza.
Ma qui non si tratta di metterci una toppa. Le divisioni politiche nazionali che stanno acutizzandosi, lo spazio a sinistra lasciato vuoto, il bisogno fortemente sentito a Milano di dare seguito al profilo radicale anziché moderato di Pisapia, rendono necessaria una scelta ben più coraggiosa. Superando inimicizie e rendite di posizione, Milano potrebbe tornare a essere un laboratorio politico innovativo della sinistra come già fu nel 2011. Conviene a tutti coloro che hanno a cuore il buongoverno della città. In appoggio a Beppe Sala, con la generosità e la fantasia necessarie, è ancora possibile dare vita a una lista unitaria della sinistra milanese capace di reagire alla deriva astensionistica serpeggiante. La sinistra a Milano rappresenta un vasto tessuto di esperienze sociali e culturali. Quando si è mossa con spirito maggioritario si è dimostrata capace di interpretare gli interessi generali della città. Si può ancora fare?

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