In morte di Luca Cafiero, il gran borghese che voleva tenere insieme Hegel e Stalin

lunedì, 14 marzo 2016

Si è spento all’età di 80 anni Luca Cafiero, una delle personalità più singolari, enigmatiche e affascinanti del Sessantotto milanese. Di lui, essendo stato io all’epoca delle assemblee in Statale solo un liceale alle prime armi, ricordo anzitutto la soggezione che incuteva. Era incredibilmente curato nel vestire in stile british, di un’eleganza classica da gran borghese indifferente alla moda, e altrettanto curato nella pettinatura: il contrario della trasandatezza rivoluzionaria che andava per la maggiore fra i compagni. Si imponeva per il fisico slanciato e muscoloso fino a sembrare un attore del cinema, tipo Jean Gabin. Intorno a lui aleggiava una fama di coraggio fisico. Ma anche nel mezzo degli scontri con la polizia e i fascisti, piuttosto che con le organizzazioni rivali di Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Lotta Comunista, lo ritrovavi al massimo un po’ accaldato, eppure sempre impeccabile.
Non aveva bisogno di parlare in assemblea, compito che lasciava volentieri a Mario Capanna e Salvatore Toscano, per essere riconosciuto come un capo. Alla fisicità, infatti, univa il prestigio intellettuale. Era temuto anche per la sua severità negli esami e nelle lezioni che teneva come assistente nei corsi di filosofia del grande Mario Dal Pra. Metteva insieme lo studio della dialettica di Hegel e l’ammirazione per Stalin, manifestando disprezzo per ogni forma passata e contemporanea di eresia marxista. Fu questo impasto davvero insolito a determinare l’ascendente che Luca Cafiero esercitò su un’intera generazione di studenti universitari milanesi che vedevano in lui l’intellettuale di mondo capace di trasformarsi in uomo d’azione: perfino l’inventore di quel servizio d’ordine passato tristemente alla storia col nomignolo di katanga.
Il seguito del suo percorso politico, che lo porterà in parlamento nel Pdup (in sodalizio con un altro uomo elegantissimo, Lucio Magri) e poi come indipendente del Pci, confermerà la strana sintesi che Cafiero racchiudeva in sè: stalinismo e conservatorismo, progressismo e diffidenza per i movimenti sociali spontanei, cultura classica e visione politica di sinistra.
Nei pochi dialoghi personali che ho avuto con lui, si rivelava persona simpatica, capace di alternare modi garbati ai proverbiali scatti d’ira. Suppongo fosse un uomo a suo modo tormentato. Mi resta il rimpianto di non averlo conosciuto meglio, soprattutto dopo che si ritirò con stile dall’attività politica, senza mai cercare alcuna forma di pubblicità.
Di certo Luca Cafiero racchiude in sè il mistero di un vasto settore del movimento studentesco milanese, per lo più di estrazione borghese ma non solo, che inspiegabilmente volle farsi erede delle tendenze staliniste da cui andava distaccandosi in quegli stessi anni il Pci. Molti fra i suoi più devoti seguaci sono entrati a far parte della classe dirigente cittadina, e ne hanno conservato l’impronta culturale.
Che gli sia lieve la terra.

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