L’accordo raggiunto ieri fra i 28 membri dell’Ue e la Turchia è una presa in giro di cui gli stessi estensori sono ben consapevoli. Tanto è vero che mettono le mani avanti, dichiarando già che applicarlo sarà molto complicato. Probabilmente da lunedì i telegiornali ci trasmetteranno qualche trasferimento forzato all’indietro di profughi dalle isole greche alla Turchia, per saziare l’opinione pubblica europea spaventata dall'”invasione”. Con la promessa che non si tratterà di espulsioni di massa, figuriamoci. E magari col contentino umanitario di far partire da Ankara un charter di profughi “buoni”, scelti a casaccio fra i milioni che ancora non hanno provato a fuggire illegalmente verso nord.
Questo scambio uno contro uno tra fuggiaschi disobbedienti (respinti) e obbedienti (ammessi) non si verificherà mai. Lo sanno tutti. Il segretario di stato vaticano Parolin lo definisce “umiliante”, e ha ragione. La demagogia delle classi dirigenti intente a dilazionare soluzioni inevitabili che scontentano però i rispettivi elettorati, stavolta ha partorito un escamotage particolarmente odioso, oltre che macchinoso.
L’accordo europeo con Erdogan perché faccia il lavoro sporco possibilmente a nostra insaputa, ricorda quello stipulato dall’Italia con Gheddafi otto anni fa, nel 2008. Com’è andata a finire, lo sappiamo tutti. E difatti nessuno si illude di aver frenato l’ondata migratoria, solo si aspetta di vedere quali altre vie d’accesso prenderà. Ammesso e non concesso che ieri la rotta balcanica sia stata sigillata. Io ne dubito.