Chi finanzierà l’informazione critica e indipendente del futuro?

venerdì, 8 aprile 2016

Ieri ho partecipato, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, a una riflessione sul futuro del sistema dei media nell’epoca dei giornali di carta che chiudono, dei professionisti dell’informazione che si trasformano in precari ricattabili, e della raccolta pubblicitaria monopolizzata da colossi tipo Google. A promuovere l’incontro era il gruppo Gue della sinistra, di cui fanno parte tra gli altri i miei vecchi amici Curzio Maltese e Barbara Spinelli. Presenti molti esponenti della “controinformazione” promossa in Grecia dai militanti di Syriza e in Spagna da Podemos. Collegato via Skype dal suo luogo di reclusione era con noi Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks.
Per certi versi mi pareva di essere ritornato indietro negli anni: sta finendo l’epoca in cui un giornale possa fondare la sua indipendenza sull’equilibrio economico derivante da vendite, abbonamenti e incassi pubblicitari. Sono sempre di meno, è inevitabile. Ma allora si ripropone l’interrogativo su come finanzieremo un’informazione capace di approvvigionarsi a fonti non inquinate, di documentarsi sul campo, prendersi il tempo necessario a fare del buon giornalismo investigativo, reggere le pressioni lobbistiche. Noi abbiamo paura, soprattutto in Italia, delle sovvenzioni pubbliche distribuite con metodo clientelare e di una televisione di Stato asservita alla politica. Personalmente ho sempre detestato la retorica del “servizio pubblico” che mascherava ben altri servizietti, mentre magari il eero servizio pubblico d’informazione lo fornivano professionisti del settore privato.
Ma i tempi futuri non lasciano alternativa. Se consideriamo l’informazione di qualità, approfondita e in grado di svolgere una funzione critica, come bene comune senza cui alla lunga la stessa democrazia è in pericolo, allora bisogna prevederne il finanziamento a carico della fiscalità generale. Con criteri rigorosi, non facili da definire. Puntando sulla formazione di giovani professionisti, investendo su un futuro che garantisca strumenti di conoscenza delle realtà locali così come del quadro internazionale. Con pluralismo culturale che non si riduca a lottizzazione. È difficile ma indispensabile ripartire una quota della fiscalità generale, nell’interesse di tutta la cittadinanza, a sostegno della buona informazione che sta diventando una merce sempre più rara. E che non possiamo accettare sia riservata solo alle élites che possono comprarla.

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