Urbano Cairo conferma di essere un editore abile e ambizioso, proponendo un’offerta pubblica di scambio che lo porterebbe al controllo del “Corriere della sera” e della “Gazzetta dello sport” senza scucire un euro. Scommette di risanare i conti disastrosi della Rcs attraverso una drastica riduzione dei costi aziendali, come ha già dimostrato di saper fare. Nella raccolta pubblicitaria e nel settore dei periodici di target popolare ha sconfitto la grande Mondadori. A La7 ha peggiorato gli ascolti e la qualità dei programmi ma gliene importa poco perché ha riportato in pari il bilancio. Guadagnandoci pure la ricca dote generosamente concessagli da Telecom.
Sarebbe dunque un errore di snobismo sottovalutarne le capacità solo perché Cairo non viene dai salotti buoni del capitalismo di relazione all’italiana.
Però. .. c’è un grande però. La sua filosofia del prodotto giornalistico di largo consumo, tagliato su misura per quelli che egli considera i gusti medio bassi del pubblico, non contempla l’informazione di qualità fra i suoi requisiti prioritari. E lo ha già portato a compiere scelte editoriali di profilo rivelatosi scadente sul piano culturale. Sarà capace di rovesciare in corsa questo imprinting di bravo uomo di marketing e di editore modesto? È l’incognita che pesa su di lui ma, insieme, sul futuro dell’informazione italiana.
Un’informazione più scadente equivale a una democrazia più scadente. Andiamo incontro a una stagione difficile in cui è prevedibile la chiusura di molte testate giornalistiche incapaci di garantirsi una tenuta economica e un reddito dignitoso per chi ci lavora. Pagare sedi di corrispondenza all’estero, remunerare il giornalismo online e investire sul contropotere del giornalismo investigativo, richiederebbe forme nuove di sostegno pubblico all’editoria. Imprenditori privati come Cairo da soli non possono garantire progetti editoriali all’altezza.