Dopo aver affermato diverse scomodità sulle pensioni Tito Boeri ha rotto un altro tabù. Il presidente dell’Inps ha rimarcato come i nati negli anni ottanta, gli under 35, possano smettere di lavorare solo a 75 anni. In parte per l’allungamento per la vita, in parte per versamenti contribuiti intermittenti che allungheranno la permanenza sul mercato del lavoro. Le affermazioni di Tito Boeri sono in realtà piuttosto banali, ma hanno suscitato forti attacchi nei suoi confronti. Il “Giornale” di Alessandro Sallusti l’ha accusato di terrorismo, anche se questa critica è rivolta anche al governo, mentre sul “Giorno” un corsivo lo dipinge come un “masaniello”. Toni molto duri, volti probabilmente a rassicurare una platea di lettori piuttosto anziana. L’Italia è un Paese che cresce poco, crea pochi posti di lavoro, ha una bassa produttività e una demografia piuttosto sfavorevole. Le pensioni rappresentano la voce di spesa di gran lunga più elevata sul Pil, e quella cresciuta di più in questi anni. Quando è stato proposta una riduzione della spesa previdenziale, come fatto dal programma di spending review di Carlo Cottarelli, immediatamente il tema è stato accantonato per eccesso di impopolarità. Il fastidio per le verità scomode di Boeri alberga anche nel governo Renzi, che recentemente ha proposto di aumentare le pensioni minime per recuperare consensi. Un corsivo del “Corriere della Sera” scritto da Enrico Marro evidenzia la distanza tra l’esecutivo, in particolare il ministro Poletti, e il presidente dell’Inps. Tito Boeri è criticato per un eccesso di proposte poi impossibili da realizzare, che infastidiscono per l’eccessivo allarmismo suscitato su un tema così sensibile.