Grazie a Michieletto, novant’anni dopo “L’opera da tre soldi” di Brecht torna a scuotere le nostre coscienze addormentate

mercoledì, 20 aprile 2016

Ieri sera al Piccolo Teatro di Milano ho avuto la fortuna di assistere alla prima de “L’opera da tre soldi” di Bertolt Brecht con le musiche di Kurt Weil, testualmente rispettata ma completamente rivisitata in chiave contemporanea da un giovane regista italiano di talento: Damiano Michieletto. E’ stato un pugno nello stomaco. Il disagio che il grande regista tedesco voleva trasmettere al pubblico di Berlino nel 1928, ieri serpeggiava e tramortiva il pubblico di una Milano sazia e opulenta, quasi novant’anni dopo, con la medesima intensità, quando il cantastorie nel finale intonava la ballata di Mackie Messer sul denaro che “non ha odore” e compra tutto, anche le coscienze, perpetuando l’ingiustizia sociale.
I puristi, nostalgici de “L’opera da tre soldi” di Giorgio Strehler, storcevano il naso per l’attualizzazione voluta da Michieletto. Ma la scena dei miserabili che indossavano i giubbotti galleggianti arancione dei migranti, arrampicati sulla gabbia che gli impediva di raggiungere il cibo di un lauto banchetto, sarà stata pure una forzatura. Ma potentissima e più che mai pertinente. Così come le prostitute sospinte al tradimento in stile Almodovar, il capo della polizia corrotto, il re dei mendicanti che lucra sulla falsa carità e lui stesso, il bandito Mackie Messer, complice di un sistema tanto più grande di lui.
Ancora una volta ho pensato che la consapevolezza degli artisti sopravanza di molto l’assuefazione del sistema dei mass media e la corrività della classe dirigente di fronte a eventi sconvolgenti che di nuovo contrappongono una massa di diseredati ai detentori di una ricchezza mal distribuita. La verità scomoda di Brecht e Weil, ne sono convinto, incontra una sensibilità popolare molto più diffusa di quanto si creda. Grazie a Michieletto, il teatro di Brecht e l’alta cultura ispirata da uno spirito critico tornano a scuotere le nostre coscienze addormentate.

P.S. In platea ho incontrato il padre di Damiano Michieletto che mi ha raccontato la storia della loro famiglia di contadini, tredici fratelli. Lui è stato per due mandati sindaco di Scorzè, un paese in provincia di Venezia al confine con la marca trevigiana. Si è giustamente compiaciuto di ricordare come i suoi concittadini lo abbiano rieletto anche dopo che, con una non semplice opera di convincimento, li aveva convinti della necessità di allestire un campo attrezzato per i rom e sinti residenti sul loro territorio.

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