Sangue e suolo: da Vienna a Budapest, passando per Bratislava, il Danubio si colora di nero

lunedì, 25 aprile 2016

Scrivo queste note all’aeroporto di Bratislava, elegante capitale della Slovacchia, affacciata sul Danubio tra Vienna e Budapest. Ieri, mentre gli austriaci votavano al 35% per un presidente della Repubblica anti-immigrati -e castigavano il governo delle larghe intese fra socialdemocratici e popolari- io e la mia famiglia attraversavamo avanti e indietro le frontiere di questi tre Stati indipendenti, fino a un secolo fa riuniti sotto l’impero austro-ungarico. La bellissima città ungherese di Sopron è a un tiro di schioppo dall’Austria e dalla Slovacchia. Nel separatismo ultranazionalista che eccita le classi dirigenti di questa regione mitteleuropea, predomina oggi la medesima pulsione a isolarsi, chiudersi in se stessi, praticare il culto delle tradizioni e il rifiuto di ogni forma d’accoglienza.
Sabato al castello di Devin, sorto alla confluenza tra il Danubio e la Morava, avevo assistito a un vero e proprio exploit di retorica indipendentista, con tanti slovacchi travestiti nei costumi del passato e la bandiera in spalla, a rivendicarsi vittime di ogni sorta di potenze straniere. Ce l’hanno col nazionalismo dei vicini, ma più ancora ce l’hanno con la minoranza rom e con la minaccia esterna rappresentata dai profughi in fuga dalla sponda sud del Mediterraneo.
Il voto a destra dell’Austria allarga e consolida un asse danubiano di matrice reazionaria con cui l’Europa intera dovrà fare i conti. sono fermenti che assumono talvolta un linguaggio aggressivo, riesumando la retorica “sangue e suolo” di cui si nutrì la prima guerra mondiale. Ma queste minoranze xenofobe sempre più larghe e agguerrite, sembrano aver nostalgia di quelle scelleratezze.

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