Per la terza volta succede che nel governo Renzi una donna ministro venga sostituita da un uomo: Paolo Gentiloni al posto di Federica Mogherini; Enrico Costa al posto di Maria Carmela Lanzetta; e ora Carlo Calenda al posto di Federica Guidi. Così l’iniziale rapporto di parità di genere, otto donne e otto uomini nell’esecutivo, ha finito per ribaltarsi e gli uomini nel governo sono tornati ad essere più del doppio delle donne: undici contro cinque.
Quali che siano le ragioni che l’hanno provocata, si tratta di una retromarcia significativa. La cultura politica dell’innovazione che si era valsa anche di parole d’ordine dirompenti come la cosiddetta “rottamazione”, e che aveva spinto Renzi a candidare cinque donne capolista alle elezioni europee del 2014, cede il passo a una redistribuzione del potere effettivo ispirata dal bisogno di arroccarsi sulla difensiva. Un segno dei tempi, un’impronta conservatrice: la valorizzazione della presenza femminile in politica pare risimensionata a superflua operazione d’immagine. La parità di genere non rientra fra le priorità della politica governativa, come dimostra anche la scelta dei candidati sindaci del Pd nelle maggiori città, con l’infelice eccezione di Napoli.