Provate a immaginarvi un leader politico europeo che inaugura il suo mandato visitando i campi profughi in Medio Oriente e (più pericoloso) tra il Sahara e la costa mediterranea dell’Africa. Poi va a Lampedusa e a Lesbos per dire ai migranti arrivati fin lì tra mille vicissitudini che l’Ue è non volterà loro le spalle perchè ama la pace e sa che con loro dovrà condividere il futuro. Poi lo stesso leader politico, al fine di scuotere l’indifferenza dell’opinione pubblica di fronte alle stragi quotidiane nel nostro mare, decide di presentarsi davanti a una vasta platea con in mano un giubbotto salvagente che non è bastato a salvare la vita a un bambino sconosciuto affogato al largo della Turchia.
Sono i gesti, le azioni, il messaggio di un papa figlio di migranti, venuto a Roma “quasi dalla fine del mondo”: Jorge Bergoglio. A renderle potenti, ancorchè restino confinate in una posizione minoritaria nel dibattito pubblico, è la sua stessa biografia. Francesco risulta credibile, forte solo di una sincerità tutt’altro che ingenua, ma resa affilata dall’assenza di calcoli di opportunità.
La radicalità espressa da Francesco è esattamente ciò che manca alla politica della sinistra europea. Perfino il greco Tsipras, divenuto primo ministro, si è inchinato a praticare una scelta di contenimento e respingimento dei profughi. Vinto dall’assioma secondo cui non puoi fare politica se non dici che nella protezione sociale vengono “prima i nostri”.
Eppure le vicende della sinistra mondiale si incaricano ogni giorno di dimostrare come il suo messaggio internazionalista e mutualista attecchisce solo allorquando a propugnarlo sono figure rese credibili dalla loro stessa biografia: tipico l’esempio dell’ex presidente uruguaiano Mujica.
Prima o poi figure simili emergeranno anche nel nostro vecchio continente. Oggi un leader politico che reagisca alla tragedia dei migranti con la stessa radicalità di papa Bergoglio, ci manca. Ci manca da morire.