La degenerazione terroristica della protesta degli afroamericani statunitensi contro le violenze della polizia è l’epilogo più amaro della presidenza Obama. Se trovasse conferma un collegamento sia pure indiretto fra gli organizzatori della marcia antirazzista di Dallas e i killer che hanno assassinato cinque poliziotti nel corso della manifestazione, sarebbe gravissimo. Ma anche se così non fosse, l’America precipita ugualmente in un clima di guerra civile che ne incrina il sistema democratico e avvelena le prossime elezioni di novembre. Non so se arriverà anche questa volta, come dopo la strage di Orlando, la rivendicazione postuma e improvvisata del sedicente Califfato, ma è chiaro che l’islam qui non c’entra, può al massimo aspirare a proporsi come detonatore esterno. Stiamo facendo i conti con un’integrazione fallita, con una società lacerata che fatica a tenersi insieme. Neanche l’evento storico della prima amministrazione Usa guidata da un nero ha consentito di oltrepassare le contrapposizioni fra comunità che continuano a viversi estranee l’una all’altra. Fino all’abominio del dichiararsi guerra nelle loro frange più estreme.
P.S. Nel loro piccolo, le reazioni indispettite di ieri alla mia ipotesi di richiamare una ministra di colore nel governo italiano segnalano che il pregiudizio razziale sta acutizzandosi anche nella nostra penisola.