Dieci giorni prima del disastro ferroviario in Puglia, il nostro ottimo (lo dico senza ironia) ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, annunciava un sostanzioso taglio del progetto Tav in Val di Susa. Ammettendo che, quanto meno nel fondovalle, è superfluo consumare territorio e miliardi quando si può modernizzare la tratta esistente. Si è trattato di un cedimento ragionevole da parte dei sostenitori non fanatici dell’Alta Velocità (difatti il senatore Stefano Esposito è rimasto ammutolito) a conferma del fatto che la protesta era fondata. Nello stesso spirito pragmatico e riformista che distingue Delrio dai più zelanti ideologi del renzismo, lo choc vissuto dal paese intero di fronte alla carenza delle procedure di sicurezza sulla monorotaia della morte dovrebbe indurlo a una svolta. Sì, usiamo anche noi per una volta quella detestabile retorica: la svolta buona, #cambiamoverso… Annunci, il ministro Delrio, che non sono le grandi opere bensì una vasta rete di manutenzione ciò che necessita al benessere della cittadinanza e allo sviluppo di un’economia virtuosa. Che le priorità degli investimenti andranno invertite. Che il governo si impegnerà a ricucire, anche se sarà durissima, e ci vorrà tempo, la spaccatura in due della qualità delle nostre infrastrutture.
Mentre scrivo sul treno Milano-Torino ci fermiamo alla stazione di Vercelli e l’altoparlante ci invita a osservare un minuto di silenzio in omaggio alle vittime. Giusta iniziativa dei ferrovieri, loro sanno bene che un’Italia spudoratamente a due velocità corre gravi pericoli di deragliare