Il Foglio e l’ossessione ideologica contro l’islam moderato. Guardate cosa scriveva su Erdogan neanche un mese fa

lunedì, 25 luglio 2016

Oggi di nuovo il direttore de “Il Foglio”, Claudio Cerasa, mi associa nello sfottò a Laura Boldrini e ci fa un bel titolo di prima pagina. Saremmo i propagatori della barzelletta secondo cui esiste un islam moderato, ah ah ah! Invece lui, dall’alto della sua esperienza, ci racconta le malefatte della svolta autoritaria praticata dall’islamico Erdogan nel dopo golpe turco.
Difficile replicare ai pregiudizi di chi cerca solo bersagli polemici da offrire al suo pubblico. Mi limito quindi a ripubblicare di seguito l'”analisi” (definita proprio così) apparsa su il medesimo “Foglio” neanche un mese fa, il 30 giugno 2016. Dove fin dal titolo di prima pagina si raccomandava di non lasciare sola la Turchia di Erdogan, apprezzando il ruolo da essa assunto nella guerra all’Isis dopo gli accordi stipulati con Putin e Netanyahu. Un’analisi molto prescrittiva: bisogna sostenere la Turchia di Erdogan e rinviare al dopo qualsiasi ozioso dibattito sull’islam moderato. Ghirigori concettuali stampati con disinvoltura da chi -in una situazione drammaticamente intricata- vorrebbe proporsi come brutale semplificatore senza averne gli strumenti.

Ecco l’Analisi del “Foglio” del 30 giugno 2016

La Turchia viene colpita dal terrorismo islamico nel momento in cui il suo governo stava modificando la propria strategia nella guerra al terrore, fino a oggi assai confusa e contraddittoria, come dimostra l’insistenza nell’isolare i curdi che combattono contro l’Isis. Le mosse recenti, l’accordo con Israele e quello con la Russia, chiudono due vicende che avevano generato tensioni e incomprensioni e provano a riportare il governo di Ankara nel novero dell’alleanza antiterroristica internazionale. L’effetto psicologico dell’attentato dell’aeroporto di Istanbul non può che rafforzare questa svolta, che richiede un’accoglienza sinceramente solidale da parte degli alleati di Ankara. Questo non significa, naturalmente, che il governo turco non debba essere sottoposto a critiche e a suggerimenti volti a evitare un decadimento irreparabile della democrazia e delle libertà, ma per ora quello che conta è che sia pienamente integrata nel fronte antiterroristico.
La Turchia viene colpita dal terrorismo islamico nel momento in cui il suo governo stava modificando la propria strategia nella guerra al terrore, fino a oggi assai confusa e contraddittoria, come dimostra l’insistenza nell’isolare i curdi che combattono contro lo Stato islamico (non solo i terroristi del Pkk) e una certa propensione a dare sostegno agli insorti sunniti in Iraq per contenere l’influenza esercitata dall’Iran sugli sciiti. Le mosse recenti, l’accordo con Israele e quello con la Russia, chiudono due vicende che avevano generato tensioni e incomprensioni – quella dell’affondamento da parte degli israeliani di una nave turca diretta a Gaza e quella dell’abbattimento di un aereo russo da parte dei turchi – e provano a riportare il governo di Ankara nel novero dell’alleanza antiterroristica internazionale. L’effetto psicologico dell’attentato dell’aeroporto di Istanbul non può che rafforzare questa svolta, che richiede un’accoglienza sinceramente solidale da parte degli alleati di Ankara. In un anno la Turchia ha subìto sette attentati terroristici sanguinosi, il che spiega, anche se non giustifica, l’inasprimento della legislazione e la limitazione dei diritti di informazione e di associazione. Non è però ragionevole trascurare la situazione particolare in cui si trova la Turchia. Esaminate in termini astratti di civiltà giuridica, anche le misure adottate dall’Italia nella fase rovente dell’epoca brigatista, o l’approvazione del 41 bis durante l’attacco mafioso, rappresentano una evidente limitazione di alcuni diritti fondamentali, per giustificate ragioni di emergenza nazionale. Questo non significa, naturalmente, che il governo turco non debba essere sottoposto a critiche e a suggerimenti volti a evitare un decadimento irreparabile della democrazia e delle libertà. Queste critiche, però, devono assumere il carattere di un ammonimento dato a un alleato, a una vittima di aggressioni terroristiche disumane che va aiutato in ogni modo a reggere a questa sfida. Dal punto di vista geopolitico il ruolo della Turchia, paese islamico membro della Nato e alleato militarmente a Israele, è uno snodo essenziale. La Turchia ha diritto alla garanzia internazionale della sua integrità territoriale, e su questa base può diventare un elemento decisivo del fronte antiterroristico. Più complesso, naturalmente, il ragionamento sulla sua eventuale funzione di guida di un fronte islamico “moderato”. Per ora quel che conta è che sia pienamente integrata nel fronte antiterroristico. Come si configureranno i rapporti di forza, le influenze territoriali e le sfere di influenza dopo la sconfitta dell’Isis dipende da come si svolgerà il conflitto. Per ora è necessario allargare il più possibile il fronte dell’alleanza e la svolta turca è un elemento positivo in questa direzione.

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