L’Italia e la (non dichiarabile) guerra di Libia: combatterla guardando le Olimpiadi

martedì, 2 agosto 2016

Il nostro primo ministro vola a Rio de Janeiro per tifare Italia ai giochi olimpici, sperando che ci portino tante medaglie. Ma intanto le nostre forze armate supportano l’intervento militare degli Stati Uniti nella guerra di Libia, per ora limitato allo smantellamento della resistenza Isis nel centro della città di Sirte.
Può anche darsi che si tratti di un’azione mirata, circoscritta, finalizzata a risparmiare agli assedianti del governo di Tripoli il sacrificio di troppe vite umane per conquistare Sirte. Ma è evidente che l’Italia, per quanto il nostro governo ufficialmente se lo aufguri, non può restarne fuori. La faccenda ci riguarda da vicino. Stiamo col premier libico Serraj, anzi, in pratica lo abbiamo messo lì noi. Ci siamo impegnati a sostenerlo. Vorremmo continuare a farlo sottovoce per evitare che la nostra risuoni come una pubblica dichiarazione di guerra che Daesh potrebbe accogliere con ritorsioni terroristiche sul nostro territorio.
Il governo italiano sa bene che l’intervento in Libia in un modo o nell’altro rientra fra i nostri obblighi, e che l’inadempienza produrrebbe rischi ancora maggiori. Ma sa anche che l’intervento in Libia risulta assai impopolare, lontano dalla nostra vocazione neutralista. Si tenterà probabilmente di agire senza esibizioni mediatiche –che si tratti di supporto logistico o di azione diretta delle nostre forze speciali sul terreno e della nostra aeronautica- sperando che puntare i riflettori su di noi non sia la scelta del nemico che finora ha preferito far finta di niente. Guerra non dichiarabile, combattuta con gli occhi rivolti ai giochi olimpici. Fino a quando può durare così?

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