Fortuna che sono arrivate le Olimpiadi a imporsi nella gerarchia dei mass media. Altrimenti qualcuno avrebbe potuto prendere sul serio le chiacchiere estive sull’emergenza profughi, basate su alcune centinaia di migranti perlopiù africani che invano cercano di passare il confine con la Francia da Ventimiglia, e quello con la Svizzera da Como. A Milano, invece, si è raggiunta la fantasmagorica cifra di 3300 (tremilatrecento) persone in cerca di ricollocazione, e tanto basta a parlare di “record”.
Dovremmo imparare a moderarci, nell’uso della parola “emergenza”. Se non altro per pudore. Proprio oggi le Nazioni Unite denunciano che a Aleppo -città crogiolo della civiltà di Levante- due milioni di persone vivono sotto le bombe senza elettricità e senz’acqua. Cerchiamo di parlare di emergenza a ragion veduta, per favore.
Nessuno sottovaluta l’ampiezza del flusso migratorio in atto verso l’Europa, un fenomeno strutturale destinato a mantenersi costante. Sulle coste italiane approdano oggi in maggioranza uomini donne e bambini in fuga dall’Africa. Le vittime della guerra mediorientale sono imbottigliate tra la Siria e la Turchia. Ma il loro contenimento, oltre che immorale, a lume di buon senso non può che considerarsi provvisorio.
L’Italia e l’Europa non stanno conoscendo invasione alcuna, i piccoli accampamenti sorti ai nostri confini sono causati da divieti irrazionali. Cambiamo il linguaggio, se vogliamo davvero affrontare il problema cominciamo a restituirgli le giuste proporzioni.