Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Il fatto che un repubblicano prenda il posto di un democratico dopo 8 anni di amministrazione è un fatto normale per la politica americana. Molto meno se si considera da dove si partiva: un’America sempre più multietnica, che dava valori di consenso a Obama simili a quelli di Clinton e Reagan. Come nel 2000, un presidente popolare non è riuscito a trascinare alla Casa Bianca il suo successore. La coalizione sociale di Obama si è rotta: le minoranze etniche si sono mobilitate meno del necessario, e il voto operaio delle zone del Midwest è andato in modo radicale verso i Repubblicani. La polarizzazione tra aree rurali e metropolitane è diventata impressionante. Il trend verso il Gop visto nelle Midterm nel 2014 negli Stati della cintura industriale si è confermato clamorosamente, portando Trump a un successo inatteso. Errore o abbaglio collettivo, di cui purtroppo anche io mi son reso responsabile. Troppa fede nei sondaggi, e nei migliori commentatori americani. Trump ha vinto in stati come il Wisconsin o il Michigan dove nessuno sondaggio o quasi l’ha mai rilevato in vantaggio. I vicini Ohio e Iowa indicavano questa tendenza ignorata da molti. Una lezione amara per me, di cui spero di far tesoro, ma questo conta poco o nulla ormai. Le elezioni di Usa 2016 sono state tra le più particolari della storia. Trump perderà il voto popolare di alcuni punti, ma, pur arrivando dietro Hillary Clinton a livello nazionale, l’ha battuta nel Collegio Elettorale. Una vittoria così peculiare e così caratteristica, coerente fino in fondo con una candidatura mai compresa fino in fondo.