Brambilla, gambe e cervello

giovedì, 15 novembre 2007

Brambilla, gambe e cervello

Su “La Stampa” di oggi Michela Vittoria Brambilla denuncia l'”inossidabile cultura maschilista” secondo cui una donna per far
carriera dovrebbe mettersi ad “ancheggiare più del dovuto”. Protesta, la fondatrice dei Circoli della Libertà, per il trattamento da lei
stesso ricevuto: io mi dannavo l’anima a denunciare i disastri della casta politica e gli addetti ai lavori come mi presentavano? “Una rossa che, pur di contare qualcosa, esibisce generosamente le gambe”.
Ora io, anche come sostenitore di Rosy Bindi, sono in forte imbarazzo ma devo risponderle. Perchè nel suo caso il problema è proprio quello che, sì -come negarlo?- lei con le gambe ci ha giocato, eccome, fino a farsi male. Lo so che è odioso a dirsi: ma non credo di ritrovarmi per questo complice dell’infamia maschilista che giustifica le molestie sessuali alle donne che “provocano” e in fondo “ci stanno”. Qui la faccenda è un’altra, e io ne sono testimone, come dimostra l’episodio che ho raccontato su “Vanity fair” la primavera scorsa. Vale la pena rileggerlo, con una postilla: nel frattempo la Brambilla ha dimostrato di essere una tenace organizzatrice politica e, guarda caso, s’è messa i pantaloni.

Oso scrivere quanto segue, sulle gambe di Michela Vittoria Brambilla, solo perchè a rompere il ghiaccio ha provveduto su “La Stampa” una brava giornalista come Stefania Miretti. Signora al tempo stesso seria e smaliziata, moralista e sexi, com’è specialità di certe torinesi.
Dunque la Miretti trascorre un’intera frenetica giornata al seguito della presidentessa dei Circoli della Libertà, fra Milano e Napoli. Appuntamento alle sette di mattina, aeroporto di Linate. E’ lì che la penna femminile de “La Stampa” ci offre il primo flash brambilliano: la presidentessa sta fumandosi una sigaretta appoggiata a un vaso di fiori, sul marciapiede, incurante del fatto che la gonna stretta va su e lascia in bella vista “la giarrettiera”. Dice proprio “giarrettiera”, la torinese Miretti, come ai vecchi tempi, lasciando al lettore il dubbio se si trattasse di reggicalze, autoreggenti o sul serio di quel desueto elastico in voga soprattutto nell’avanspettacolo.
In ogni caso la Miretti non ha fatto finta di non vedere, risalendo con lo sguardo dai tacchi a spillo fino alla coscia: com’è inevitabile tutto il reportage, anche nelle sue parti politiche, il comizio, le dichiarazioni, ne uscirà condizionato.
A quel punto ci si è messo pure “L’Espresso”, pubblicando la foto di una Brambilla accavallata a “Ballarò” con autoreggente in evidenza. In redazione mi hanno fatto vedere che on line sui siti feticisti circolano parecchi scatti analoghi della donna indicata come potenziale candidata presidente del Consiglio del centrodestra, nelle fantasie marketing-goliardiche di Silvio Berlusconi alimentate da amici opinionisti giocherelloni.
Il fatto è che anche il mio primo impatto con Michela Vittoria Brambilla fu dello stesso tipo, e mi lasciò interdetto. Era il gennaio ’96, a Milano c’era la neve e Renato Farina collaborava ancora a “L’Infedele”. Mi chiese di partecipare a una convention per addetti ai lavori in cui si promuoveva il successo di vendite del quotidiano “Libero”. Raggiunsi fra le pozzanghere uno dei soliti megastudi di via Tortona, mi pare fosse venuto pure Paolo Mieli. Poi a parlare sul palco con Vittorio Feltri, Alessandro Sallusti e l’amministratore Gianni Di Giore. E’ a quel punto che entra in sala una signora rossa appariscente, in mini tailleur e tacco a spillo nonostante la temperatura. Viene a sedersi in prima fila, esattamente di fronte a noi oratori microfonati. Ora scusate, l’ha scritto la Miretti e lo scrivo anch’io: Michela Vittoria Brambilla (per me all’epoca una perfetta sconosciuta) si mette comoda, tira su la stoffa, e per l’intera durata della convention lascia che i nostri sguardi maschili vadano fin oltre il pizzo nero delle autoreggenti, verso i lembi di carnagione chiara messi in risalto da tutte le pubblicità d’intimo femminile.
Basta. Non mi addentrerò sul grado di volontarietà di quella esibizione, né sulla sua reale efficacia seduttiva. Di certo non mi era mai capitata prima. E non ditemi che frequento solo donne di sinistra, ma va là, lo stereotipo non regge. Solo alla licenza poetica di Giorgio Gaber possiamo concedere (senza ammettere) che “il reggicalze sia di destra e il collant sia di sinistra”. Basterebbe un viaggio nella popolare Emilia rossa o in certi salotti progressisti romano-napoletani per smentire esclusive ideologiche nell’appeal femminile in politica. Gambe comprese.
Spero di non andare troppo oltre il mio grado di cafonaggine abituale se infine rilevo una certa patetica inefficacia nell’aggressività del look brambilliano. La presidentessa sta girando tutti gli studi televisivi in cui si parla di politica proclamandovi: io non faccio politica! E a quanto pare con ciò mette in allarme i numerosi politici che si contendono nel centrodestra l’eredità berlusconiana. Ma il Berlusconi nascente era l’espressione di una forza imperiale, di un’energia sotterranea. Mica solo un doppiopetto Caraceni con calza di nylon sulla telecamera (vedi che alla fine tornano sempre, queste calze femminili?).
Temo dunque per la signora Michela Vittoria Brambilla che intorno a lei uomini ammiccanti stiano solo temporeggiando con un innocuo mormorio, poco rispettoso. E le chiedo scusa se per dirlo, e con lo sguardo, anch’io le ho mancato un po’ di rispetto.

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