Con l’Italicum l’Italia non cambia verso

giovedì, 7 maggio 2015

La firma, piuttosto scontata, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Italicum ha sancito l’approvazione della nuova legge elettorale. La manifesta incostituzionalità dell’Italicum è sempre stata una critica forzata, visto che la prima versione, da cui scaturisce la seconda poi approvata, era stata una riscrittura del Porcellum “potato” alla sentenza della Consulta. Le caratteristiche fondamentali rimangono infatti immutate: un maxi premio di maggioranza assoluta, e liste bloccate. La Corte aveva bocciato la mancanza di soglie per far scattare il premio, e liste troppo lunghe che non garantivano all’elettore la conoscibilità degli eletti. Questi rilievi sono stati accolti, anche se qualche dubbio sull’incostituzionalità di alcuni punti della legge elettorale rimangono. Forse l’Italicum avrà problemi da questo punto di vista, ma ora come ora nessuno può anticipare quale sarà l’eventuale decisione dei giudici della Consulta, invero piuttosto “creativi” nella sentenza di bocciatura della legge Calderoli, come in altre più recenti. Il vero problema dell’Italicum è la prosecuzione di un’esperienza già fallita in questi lunghi vent’anni, l’illusione che un sistema elettorale possa stabilizzare un Paese. Da questo punto di vista è piuttosto rivelatoria l’intervista di Giorgio Tonini, senatore tra i più vicini a Renzi, che “minaccia” il semipresidenzialismo in caso di fallimento delle premesse e promesse dell’Italicum. La governabilità via legge elettorale è però solo un’illusione, come ha ben spiegato il professor Pasquino, e come dimostra anche la nostra storia recente. In Italia la cosiddetta II Repubblica è stata introdotta dal maggioritario (più dalla fine della Guerra Fredda e da Berlusconi, in realtà), che però non ha certo portato alla governabilità auspicata. Per garantirla, o provare  a migliorarla, sarebbe stato ben più sensato un intervento sulla forma di governo, che toccasse alcuni capisaldi della nostra architettura istituzionale, come i poteri di presidente della Repubblica, del Consiglio, e maggioranze del governo, tra le altre, che invece le riforme costituzionali del governo Renzi non affrontano, se non marginalmente. In Francia, il modello prevalente dei politologi e della classe politica italiana, la V Repubblica nacque grazie a una profonda, rivoluzionaria trasformazione costituzionale. In Italia si pensa che basti una sorta di elezione diretta del premier in netta contraddizione con la lettera della Costituzione e una corposa droga elettorale per stabilizzare governi che sono indeboliti non dai numeri in Parlamento ma da un declino del Paese che prosegue ormai da vari decenni. L’esempio francese avrebbe poi dovuto essere osservato con maggior acribia dai suoi fan. Dopo la riforma costituzionale del 2000, introdotta con l’obiettivo di porre fine alla coabitazione tra presidenti di orientamento politico diverso da quello del governo e della maggioranza parlamentare, si sono succeduti otto esecutivi. La Francia è anche il Paese europeo più immobile dal punto di vista delle riforme, vista la difficoltà a toccare un modello sociale ancora popolare benché sempre più insostenibile. La stessa Grecia, che ha la legge elettorale in Europa più simile all’Italicum, non è certo stata un caso di governabilità. L’Italicum è stato adottato nell’illusione che grazie a un buon plotone di parlamentari fedeli, una opposizione balcanizzata e una sostanziale elezione diretta del presidente del Consiglio si possa ottenere una stabilità che però solo una vera e duratura ripresa del nostro Paese potrebbe favorire. Il meccanismo del ballottaggio per creare una maggioranza parlamentare a prescindere dai consensi dell’elettorato sarà foriero di una delusione precoce. Davvero si pensa che un partito che al primo turno abbia ottenuto il 20 o il 25% poi possa avere un capitale politico capace di introdurre riforme impopolari? Facile prevedere un rapido collasso di una maggioranza parlamentare, e una contraddittoria prosecuzione della legislatura. Sarà sempre il presidente della Repubblica a decidere se sciogliere o meno le Camere, e i parlamentari eletti con le preferenze saranno probabilmente ben meno fedeli al premier “eletto” rispetto a quelli delle liste bloccate. La promessa del bipartitismo appare quasi surreale: l’incentivo a fare listoni con diversi partiti sarà troppo forte visto il maxi premio di maggioranza, e il meccanismo di liste bloccate e pluricandidature che permetterà la spartizione dei “posti sicuri”. Facile prevedere che succederà la stessa cosa già vista col Mattarellum, “listone comuni” nei collegi uninominali o in questo caso nel collegio nazionale, e poi gruppi parlamentari diversi.  Queste  sono solo due delle tante contraddizioni dell’Italicum, la terza legge elettorale approvata dal Parlamento italiano in soli 20 anni. Nessun Paese occidentale, contando anche le riforme costituzionali del 2001 e del 2005, e le attuali in discussione, ha introdotto una simile quantità di interventi istituzionali. Sembra facile prevedere che l’instabilità istituzionale che ci ha caratterizzati proseguirà anche nei prossimi anni, date le premesse. Il Mattarellum fu approvato da partiti che avevano ottenuto il 55% dei consensi degli italiani (al 70% contando la benevola astensione del Pds), ed è stato poi sostituito con una riforma a maggioranza  stretta come il Porcellum. L’Italicum ha avuto una base di consenso effettivo degli italiani ancora minore, visto che le forze che l’hanno votato hanno preso meno del 40% nel 2013, e anche nei sondaggi, una comparazione forzata, valgono questa percentuale. Le riforme istituzionali del governo Renzi appaiono come  una grande occasione sprecata, anche perchè disegnate su un interesse specifico e momentaneo fin troppo marcato, come già accadde con il governo Berlusconi. L’Italia non ha cambiato verso, ed è un vero peccato.

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