Parisi e la deriva dalemiana del Pd

giovedì, 7 gennaio 2010

Vi segnalo, per mia totale condivisione, questa intervista di Marco Damilano con Arturo Parisi pubblicata da “L’Espresso”.
D’Alema? «Un professionista del “se po’ fa”, ricalca Andreotti. Dovrebbe almeno avere il coraggio di dirci che le primarie, la democrazia dei cittadini, per lui sono tutte boiate». Bersani? «Apra un congresso che non c’è mai stato, perché il Pd è a rischio ». Arturo Parisi è allarmato dalla baruffa democratica sulle regionali, la considera l’anticipo di quello che succederebbe con il ritorno dei vecchi partiti. «Il cinismo di massa, il trasformismo. L’idea che tra destra e sinistra non ci sia più distinzione”.

Sono passati appena due mesi dal congresso e nel Pd è di nuovo tutto in
discussione. Qual è il peccato originale?

«La verita’ è che quello che chiamiamo congresso e’ stato tutto fuorche’ un
congresso. Bersani aveva esordito dicendo che un confronto in
contradditorio tra i candidati avrebbe disorientato la nostra gente. Era
meglio rinviarlo dunque a dopo il voto dei circoli. Un’offesa
all’intelligenza. Il tutto si è ridotto a tre monologhi di circostanza,
svolti prima dei tg dell’ora di pranzo.».

Ma come, proprio lei, l’inventore delle primarie, rimpiange le liturgie di
partito?

«Di quei partiti ho molto rispetto ma nessuna nostalgia. Ma del confronto
politico, sì, del valore che allora veniva dato alle parole, del senso
storico delle scelte, talvolta prossimo al dramma, ma sempre comunque
lontano dalla farsa. Ricordo in una recente testimonianza di Luciana
Castellina sulla sua espulsione dal Pci tutta la sua nostalgia per un tempo
nel quale almeno ci si prendeva sul serio».

Qual è la farsa in cui rischia di scivolare il Pd?
«Ripetere che al congresso ha vinto una linea e che quindi non va rimessa
in discussione. Peccato che questa linea nessuno abbia avuto il coraggio di
esplicitarla ne’ prima ne’ dopo, anche se intanto una linea veniva evocata
in sottofondo, una linea chiarissima. ».

Quale?
«Quella di Massimo D’Alema. E’ da mesi che mi aggrappo a una domanda: tutti
sappiamo che D’Alema appoggia Bersani. Ma mi puo’ dire Bersani se appoggia
la linea di D’Alema?»

Come le ha risposto il segretario?
«Prima del voto con il silenzio. Dopo il voto con le parole di D’Alema.
Come temevo, vedo infatti D’Alema illustrare la sua linea a reti unificate,
quasi che il segretario fosse lui».

Qual è la linea D’Alema, oggi?
«D’Alema parla chiaro, fin troppo: restituire ai partiti il loro ruolo
centrale. Tornare alla democrazia della delega contrastando ogni tentazione
di democrazia diretta dei cittadini. Abbandonare ogni illusione sulla
preminenza del progetto, ridare invece forza ai soggetti, cioe’ ai partiti
e ai capipartito, affidandosi alla loro saggezza e professionalita’. Il
ribaltamento del cammino di questi anni. Il peggio e’ che a parole si
pretende di continuare a professare anche l’opposto. Le primarie, si dice,
sono nel dna del Pd, ma se poi si possono evitare, come in quasi tutte le
situazioni, meglio. Oppure i governi debbono fondarsi sul voto degli
elettori, ma se poi si può evitare di scomodarli, come in Sicilia, ancora
meglio…».

In Puglia e in altre regioni il Pd fatica a trovare i candidati
governatori…

«In Sicilia non si capisce se siamo noi che li aiutiamo a governare, o loro
che dovrebbero aiutarci a batterli. La Puglia intanto, piu’ che
laboratorio, rischia di diventare un modello per il Paese. La sola idea che
la Poli Bortone possa guidare contro di noi la coalizione berlusconiana,
dopo esserci stata proposta poco tempo fa come determinante per un’alleanza
per il Sud, primo passo verso il fronte anti-berlusconiano lanciato da
Casini, dice da sola dove conduce la politica del potere per il potere».

In che direzione?
«Al trionfo del trasformismo. Dopo mesi nei quali abbiamo cantato
l’assoluta priorita’ dei programma, sento ora il nostro Letta intonare il
canto della priorita’ delle alleanze, ossia che l’unica cosa che conta
è la vittoria. E questo nella regione di Tarantini e della D’Addario, della
estesa commistione tra affari e sanità, senza che si capisca piu’ quale sia
la differenza tra destra e sinistra. Solo l’assoluto disinteresse per la
Repubblica puo’ spiegare perche’ si parta dalle alleanze e non dal cosa
fare con gli alleati. Non so se continuando così perderemo. La mia paura e’
invece che ci perderemmo, anzi, che ci siamo già persi».

Anche l’Unione di Prodi andava da Bertinotti a Mastella. Cosa c’è di male
ad allearsi con l’Udc?

«Nulla. Perché non dovrei confrontarmi con Casini, la cui qualità è
assolutamente comparabile, e in alcuni casi superiore, a quella di molti
miei compagni di partito? Il tema non è con chi, ma è su che cosa
confrontarsi, e sopratutto perche’ incontrarsi.».

Per alcuni dirigenti del Pd è il risultato di quindici anni di nuovismo. Il
modello Parisi, dicono, ha consegnato l’Italia ai partiti personali, al
berlusconismo…

«Quello che chiama il mio modello è la democrazia maggioritaria, la
democrazia chiesta coralmente dai cittadini in due referendum. Ed è quello che ha consentito al centrosinistra di andare due volte al governo. Se in quel modello Berlusconi ha vinto e’ perche’ ha messo in campo un progetto nuovo
con un soggetto nuovo. Noi invece abbiamo troppo spesso detto di giorno cose che abbiamo contraddetto di notte».

Tra queste ambiguita’ e contraddizioni pensa anche all’inciucio sulle
riforme?

«A parlare da solo e’ a questo proposito il rinvio del dialogo a dopo le
regionali. Questo perche’ non abbiamo la forza di spiegare agli elettori
ne’ il che ne’ il perche’ dell’accordo. È l’anticipo di cosa si intende per
ritorno alla democrazia dei partiti: al tempo in cui si chiede una delega
per una cosa e se ne fa un’altra.».

Cosa dovrebbe fare D’Alema per sciogliere la contraddizione?
«Vuole cambiare il modello? Bene. Abbia il coraggio di dirlo con chiarezza:
“tredici anni fa a Gargonza, ho cercato di spiegarvelo con gentilezza.
Visto che non capite, ve lo dico ora come meritate. Le primarie, la
democrazia il maggioritario, la democrazia dei cittadini? Sono tutte
boiate”. La ricreazione e’ finita.».

È lo sfogo di un politologo, replicherebbe lui, ora deve tornare la
politica…

«Ma la crisi della politica è prima di tutto crisi dei politici. La realta’
e’ che nemmeno D’Alema pretende piu’ di parlare a nome di un’aristocrazia,
ma solo come espressione al più di una corporazione. Le virtu’ che mette in
campo non sono le grandi virtu’ dei tempi delle grandi scelte, ma le
piccole virtu’ dei professionisti del “se po’ fa”, dei politici che sanno
con chi e come si puo’ trattare su ogni cosa, quelli che ricalcano il
proprio profilo su quello di Andreotti. Ma Andreotti ha elaborato il suo
realismo per conservare un potere che deteneva. Qui si pretende invece di
imitarlo per conquistare un potere che non abbiamo.».

In caso di sconfitta alle regionali torna in pericolo la vita del Pd?
«Vinca o non vinca questo Pd a rischio lo e’ gia’. Se nella stagione rosa
dell’idealismo il rischio fu la retorica e la propaganda, la delega ai
professionisti rischia ora di portarci sulla scia del loro realismo al
cinismo di massa, al trasformismo. Come il clericalismo per la religione,
e’ il politicismo che affossa la politica, che è progetto, mobilitazione
delle coscienze, orientamento delle passioni.».

Ecco Parisi, la solita Cassandra…
«Io sento il peso di giornate che si consumano nella menzogna. La realta’
e’ che l’anno che e’ finito e’ stato segnato come mai dalla resa. La resa
all’omologazione che tutti sono uguali. La resa all’idea che il Sud e’ il
Sud ed e’ meglio farsene una ragione. La resa al fatto che l’Italia e’
l’Italia e di piu’ non puo’ dare. E alle spalle non abbiamo più, come ai
tempi dell’Ulivo, una società in crescita che sentiva la “Canzone
popolare”, come il canto di una marcia contro il blocco della vecchia
politica. Oggi non dobbiamo solo liberare la società dal blocco della
politica, e non basta neppure rimuovere Berlusconi. La crisi è di una
società più povera non solo sul piano economico, ma culturale, civile,
morale. Nel pieno della sua crisi, perfino di quella privata, Berlusconi ha
disvelato la crisi che coinvolge tutti. E noi del Pd pensiamo davvero che
una cooperativa di professionisti, validata da una delega per di piu’
neppure esplicita, sia in grado di affrontare questa tempesta?».

Già: cosa può fare un povero segretario di partito, Bersani, in queste
condizioni?

«Bersani deve farsi carico per primo di questa domanda. Ora non è piu’ un
ministro, quel saggio ministro che ha dimostrato di essere, è il capo
politico del partito. Apra lui ora quel congresso che non c’è mai stato. Ha
la piena responsasibilita’ e tutte le capacità per essere quel che e’
richiesto a un segretario, le primarie non lo hanno chiamato ad essere nel
Pd quel che Cesa e’ nell’Udc…».

Come finiranno le regionali per il Pd?
«Non e’ il numero di bandierine che fara’ la differenza. Ci sono sconfitte
che annunciano rimonte, e vittorie magari risicate che sono soste di una
discesa».

Insomma, rischia di essere comunque un fallimento?
Molti pensano che comunque vada sia un fallimento.

«Tutt’altro: un partito è una comunità di persone. Se avremo finalmente il
coraggio per aprire quel confronto vero, riconoscendo che il partito nuovo
che avevamo annunciato non e’ ancora nato, son sicuro che sapremo ritrovare
i sentimenti e le parole che da giovani ci hanno scaldato i cuori».

Marco Damilano

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