Gioco del cerino fra i delusi di Berlusconi

mercoledì, 27 aprile 2011

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
A un anno dalla spettacolare rottura con Gianfranco Fini, che Berlusconi confidava di rimediare forzando la “campagna acquisti” di Montecitorio, è ormai in atto una pulsione centrifuga nel suo eterogeneo raggruppamento elettorale, il Popolo della Libertà, che lui stesso non ha mai voluto definire come un partito.
Scienziati politici di autorevolezza incontestata, come il professor Roberto D’Alimonte, parlano ormai di vero e proprio “sfarinamento”. Il fatto curioso, ma tipico dei movimenti carismatici di matrice populista, è che nessuna delle fazioni in contrasto fra loro osa esprimere una critica aperta al leader fondatore. Al contrario, poiché tutti aspirano a raccoglierne l’eredità, come nel gioco del cerino sperano che sia il rivale a lasciarsi sfuggire un distinguo da Berlusconi, per poterlo così screditare in quanto “traditore”.
La sospettosità reciproca viene esacerbata da questa esigenza tattica. E’ come se tutti praticassero nervosamente il surplace tipico degli scattisti nel ciclismo su pista: sanno perfettamente che l’uomo solo al comando è in forte difficoltà, forse è prossimo al declino. Ma in vista del giorno in cui egli finirà la corsa, unica loro chance di sopravvivergli è presentarsi come suoi legittimi eredi. Leali fino all’ultimo.
Dalla stagione delle cene di corrente e dei complotti, siamo passati alle esplicite prese di distanza: pro o contro Verdini, lesti a isolare La Russa piuttosto che a recuperare Scajola, gelosi della Santanchè o disponibili a smarcarsi con Miccichè… Ma naturalmente l’uomo su cui è più facile concentrare i sospetti e l’ostilità generale è il più autonomo della compagnia: Giulio Tremonti. L’attacco sferratogli a freddo sul “Giornale” dal ministro Galan a prima vista sembrerebbe nobilitato da un vero e proprio contenzioso ideale: la componente liberale degli ex di Forza Italia contro il neo-socialista guardiano dell’economia. Ma dopo ormai quasi vent’anni di realizzazioni della politica berlusconiana qualcuno ci ha forse intravisto una sia pur vaga parvenza di neo-liberismo thatcheriano o reaganiano? Macchè. Attaccare Tremonti per quasi tutti i ministri del governo Berlusconi significa solo agitarsi sotto l’ala protettrice del Capo, timorosi come Lui delle alleanze trasversali messe a punto dall’avversario interno, che vanno dalla Lega a D’Alema passando per un bel pezzo dell’establishment bancario.
Di particolare interesse, nello sfarinamento generalizzato del Pdl, è il ruolo da filibustieri creativi assunto in coppia da Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè, alla guida del loro “Giornale”. A sospingerli è la necessità di competere con Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro riuniti di nuovo in “Libero”. Ma ciò non basterebbe a spiegare la natura della loro eterodossia militante, giunta a mettere in difficoltà la campagna elettorale di Letizia Moratti pur di sponsorizzare gli ignobili attacchi ai giudici milanesi del prestanome Roberto Lassini. L’indicazione di voto al candidato che la Moratti vorrebbe escludere dalla lista del Pdl, fingendo che sia lui l’ideatore dei manifesti in cui la Procura viene diffamata come covo brigatista, rivela l’esistenza di una componente berlusconiana oltranzista dotata di militanza e risorse autonome. Lo stesso presidente del Consiglio intrattiene una relazione privilegiata con questo ambiente. Sono i suoi falangisti, cui è legato da affinità culturale oltre che dalla pratica del dossieraggio. Intorno a loro gravita un’estrema destra che ormai probabilmente gode anche di significativi consensi elettorali.
La Lega attende fiduciosa che nel dopo Berlusconi gran parte di costoro le si consegnino armi e bagagli.

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