E ora… una donna a Palazzo Chigi

mercoledì, 1 giugno 2011

Questo articolo è uscito su Vanity Fair.
Già lo sentimmo venire da tutte quelle donne “normali” in piazza per ragioni di dignità, il 13 febbraio scorso. E ancora nei giorni del centocinquantenario d’Italia, quando volarono fischi diffusi e spontanei all’indirizzo di chi dileggiava il nostro Risorgimento. Ma il vento che sta scuotendo un assetto di potere fino a pochi mesi fa ritenuto inamovibile, deve la sua forza al luogo d’origine in cui si è generato: la città di Milano, cioè la culla del berlusconismo.
Il pensiero prevalente da vent’anni in qua fra gli oppositori di Berlusconi era che per metterlo in minoranza nel paese bisognasse circondare Milano. Vincere al Sud e nel centro-Italia, confidando che un tale assedio bastasse a sottomettere i malumori antipolitici della regione lombardo-veneta, e della sua inespugnabile roccaforte milanese.
Invece è accaduto il contrario: l’antidoto al berlusconismo è cresciuto dall’interno, entro le mura della sua cittadella. E’ a Milano che si è infranta –già prima e a prescindere dall’esito del ballottaggio- la presa comunicativa del berlusconismo, fondata su paure e promesse sempre meno credibili.
Ricorderete che stiamo parlando del luogo di maggior debolezza culturale del Partito democratico, che infatti vi subì un’imbarazzante sconfitta pure alle primarie del novembre 2010, quelle in cui fu prescelto Giuliano Pisapia. Considerato poco compatibile con le pulsioni di un’immaginaria società nordista, della quale venivano introiettati i luoghi comuni leghisti quasi ne costituissero il dna, il Pd lombardo e milanese si cimentava in spericolati esercizi “di destra”: tuonava contro i rom, approvava l’idea delle ronde, perfino il tetto alla presenza di bambini stranieri nelle scuole primarie. Massimo Cacciari, il filosofo che esprime da sempre questa subalternità culturale all’ideologia berlusconian-leghista, giunse addirittura a proporre che la sinistra candidasse sindaco di Milano un uomo di destra come Gabriele Albertini, il predecessore della Moratti. Come dire: noi ci vergogniamo di noi stessi, dei nostri ideali, dei nostri progetti. Per cui mandiamo avanti uno di quei famosi “moderati” che non esistono in natura ma servono a mascherare l’assenza di idee di chi li propone.
L’operazione Pisapia è stata di segno opposto. Finalmente a Milano si è proposto all’elettorato non il “meno peggio”, una figura rispettabile ma sbiadita di finta neutralità tecnica; bensì una figura politica nettamente alternativa, in grado di entusiasmare i delusi e trascinare gli incerti. Qualcosa di molto simile è avvenuto a Napoli, seppure intorno a una personalità come Luigi De Magistris, molto diversa da quella di Giuliano Pisapia.
Sul piano nazionale il Partito democratico ha la fortuna di disporre già, dentro al proprio gruppo dirigente, di una figura analoga per dinamismo e trasversalità: Rosy Bindi. Donna (e chiunque capisce quanto sarebbe importante per l’Italia rompere il tabù di Palazzo Chigi precluso alle donne). Cattolica. Promossa a pieni voti nelle due esperienze di governo precedenti. Beneamata a sinistra per la fermezza antiberlusconiana.
Non a caso Nichi Vendola qualche mese fa propose Rosy Bindi come candidato comune del centro-sinistra, forse pensando di mettere in difficoltà Bersani. Resta il fatto che un tandem Bindi-Vendola, ma in questa formazione, con lei candidata a primo ministro, sarebbe a mio parere di gran lunga il più competitivo. E i centristi? Voglio vederli dire no alla cattolica Bindi. Con quale motivazione dovrebbero preferirle un uomo della sinistra?
Se alle prossime elezioni il centrosinistra unito presenterà la Bindi, con Vendola al fianco, state pur sicuri che Berlusconi non si ricandiderà neppure.

I commenti sono chiusi.

I commenti di questo blog sono sotto monitoraggio delle Autorità. Ti preghiamo di mantenere i toni della discussione entro i limiti di buona educazione e netiquette in essere come regole del blog. Inoltre usa con moderazione i seguenti comandi di formattazione testo.