Giulio Tremonti è stato sopravvalutato come intellettuale. Ieri al meeting di Rimini ha disinvoltamente rovesciato le tesi del suo saggio “La paura e la speranza”. Dopo avere esaltato “l’Europa dei popoli” contrapposta all’Unione comunitaria, si è scagliato contro i nazionalismi generati dal Trattato di Westfalia, che oggi frenano un’integrazione senza la quale saremo destinati alla rovina. Giusto. Ma è l’esatto contrario di quanto sostenuto fino a ieri. Qualcuno dovrà ben farglielo notare: ha sempre piegato le idee, espresse con supponenza, ai suoi interessi di bottega.
Considero improbabile che Tremonti rimanga ancora per più di qualche settimana ministro dell’Economia. La sua decennale collaborazione con un figuro di bassa lega qual è Marco Milanese, fa il paio con la sua strumentale sottomissione alla Lega. Ma allorquando la sua parabola politica volge al termine, è interessante rilevare che egli ha vissuto la sorte dell’apprendista stregone. Ha propagato un’ideologia velenosa che gli è scoppiata tra le mani.