La parola Politica, secondo me

martedì, 15 maggio 2012

Ecco quel che ho detto lunedì 14 maggio 2012 a “Quello che (non) ho” presentando, in dialogo con Marco Travaglio, la parola Politica.

Mi autodenuncio. Io sono iscritto a un partito politico. Lo critico, mi ci arrabbio, se emerge corruzione al suo interno la denuncio, ma per migliorare la nostra situazione non riesco a vedere altra strada che una politica diversa.
Dipenderà forse dal fatto che fino all’età di 30 anni mi è stato negato il diritto di voto. Ero senza cittadinanza, apolide. Ricordo l’emozione della prima volta nella cabina elettorale; sentivo che votare era una cosa importante; e sapevo per esperienza vissuta che quel bene prezioso non è mica scontato possederlo.
Provai un’emozione simile un paio d’anni dopo a Varsavia, quando il mio amico Wlodek Goldkorn mi accompagnò alla cerimonia d’insediamento del primo parlamento democratico eletto in Polonia dopo mezzo secolo di regime comunista. Fra i deputati ancora increduli c’erano dissidenti come il vecchio Jacek Kuron, una vita dentro e fuori dalle galere. Eroi della politica; ma nulla avrebbero potuto non fosse germogliato dai cantieri e dalle fabbriche un grande movimento sindacale, un vero movimento di partecipazione popolare chiamato Solidarnosc, Solidarietà.
Oggi in Italia, di più, in tutta Europa avvertiamo il bisogno di un moto come Solidarnosc, una Solidarietà che arriva a cambiare la politica. Perché la politica, lo sappiamo, non è in grado di autoriformarsi da sola.
La politica non la riformeranno i politici rivelatisi capaci soltanto di rubare e andare a donne. Dopo averli votati ammirati e temuti, i cittadini non ne possono più: vederli in televisione, sempre gli stessi, a litigare su questioni palesemente più grandi di loro, ha fatto venire il voltastomaco.
Così un bel giorno si decise di provvedere, ma dall’alto. Un vecchio politico seduto su un Colle architettò una dignitosa via d’uscita per il capo più votato e più screditato di tutti, che si appoggiava a un ministro che alzava il dito medio e faceva le pernacchie, pensando forse di somigliare al popolo, come se il popolo fosse quella roba lì.
Povera politica. Per venirne fuori l’uomo del Colle trovò aiuto all’estero. Mentre gli italiani che potevano permetterselo erano in vacanza, la virtù europea ci venne comunicata tramite una lettera che somigliava a una ricetta medica, non si sa bene se scritta a Roma o a Francoforte. Che strano, la firmavano dei banchieri.
Il risultato è che l’Italia adesso si ritrova nelle mani di due tecnici, più o meno coetanei, diversi ma complementari. Uno tecnico austero esperto in economia, la scienza triste. L’altro tecnico buffo esperto in comunicazione, la scienza allegra. Monti e Grillo. Un’economia che rischia di essere sempre meno conciliabile con la democrazia. Una rabbia che rischia sempre più di abbruttire la politica.
Ridotti a piccole oligarchie, certo che i partiti non si riformeranno da soli. Ma già l’anno scorso è scoccato l’imprevisto: un movimento di cittadini ha sovvertito dall’esterno la politica di grandi città italiane; subito dopo, in ventisette milioni abbiamo votato i referendum censurati dai mass media. Grande politica, la cittadinanza attiva. Come la Solidarnosc di cui abbiamo tanto bisogno oggi per ricordarci che la parola Politica è quasi sinonimo della parola Civiltà.

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