L’Iran e l’occidente

mercoledì, 24 giugno 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Trent’anni fa, nel 1979, quella iraniana fu la rivoluzione dei
mangiacassette. Quei piccoli nastri registrati da infilare in
magnetofoni portatili, riprodotti a poco prezzo, diffusero per tutto
il territorio persiano la voce di un oscuro ayatollah residente in un
villetta della periferia parigina. Grazie all’inedita capillarita’ di quella propaganda, quando
infine Khomeini atterro’ a Teheran c’erano ad acclamarlo
milioni di persone, convinte che la sua fede tradizionale
rappresentasse l’unica via di liberazione da un regime poliziesco
sostenuto dall’occidente. Cosi’ un anelito di liberta’ spalanco’ la strada
all’oscurantismo. Ma non possiamo dimenticare che si tratto’
di un sussulto grandioso, un evento al tempo stesso storico e
misterioso in cui migliaia di giovani a mani nude spontaneamente
decisero di immolarsi. Difficile liquidare alla mera voce
“fanatismo” quella contrapposizione al degrado prodotto dal
colonialismo nella vita dell’Iran e di tutto il Medio Oriente.
Difatti l’incendio antiamericano divampo’ da allora nel vicino
mondo arabo prendendo ad esempio la rivoluzione khomeinista e il falso
mito del ritorno alle origini, in seguito al quale per prime le donne
furono costrette a rivestire costumi medievali. Oggi che l’Iran vive la nuova rivolta di internet, non oso
chiamarla rivoluzione perche’ dubito possa distruggere il potere
degli ayatollah come quella del 1979 ebbe la meglio sulla crudele
“Savak”, la milizia dello Scia’. Temo abbiano ragione
gli storici secondo i quali la rivoluzione iraniana potrebbe avere sul
pianeta effetti piu’ prolungati e traumatici dei settant’anni
della rivoluzione comunista in Russia. Ma per fortuna i tempi sono
cambiati. Il 2009 di Teheran non equivale al 1947 di Mosca sotto
Stalin. Oggi e’ molto piu’ difficile per i regimi domare le
spinte di rivolta la’ dove una secolare evoluzione economica ha
plasmato una societa’ civile colta, progredita, dinamica, giovane
come in Iran. La commovente capacita’ di sacrificio manifestata dai cittadini di
Teheran e degli altri centri urbani, non a caso con le giovani donne
emancipate in prima fila, segnala quanto fosse falso il luogo comune
di un fondamentalismo islamico saldamente egemone sull’oriente.
Proviamo ammirazione per chi osa sfidare in piazza la Guida Suprema
(cioe’ un dittatore che si pretende in missione divina) e il suo
braccio secolare Ahmadinejad. Manifestano avendo la netta percezione
che i reazionari al potere siano minoranza, almeno nelle grandi
citta’. Ma anche se cosi’ non fosse, rivendicano il diritto
-questo si’ sacro- alla loro liberta’ quotidiana. Nel
vestirsi, nell’informazione, nelle relazioni tra le persone e nei
codici familiari. Ricordando la lezione di trent’anni fa, sara’ bene tenere a
mente che in Iran non e’ certo in corso una controrivoluzione
filo-occidentale. I manifestanti sono anch’essi portatori di un
orgoglio nazionalistico di matrice imperiale, diretta emanazione di
quattromila anni ininterrotti di continuita’ statuale della
Persia. Al mondo solo altri tre paesi (Cina, Egitto, Yemen) possono
vantare una tale longevita’. Per questo la nostra solidarieta’ ai rivoluzionari di internet
2009, piu’ forti della censura, non puo’ tradursi in
boicottaggio dell’Iran. Il regime degli ayatollah si e’
avvantaggiato talmente degli errori di Bush che non e’ il caso di
replicarli per una malintesa coerenza ideologica. Come gia’ Obama
ha prospettato, ci vuole un negoziato globale con Teheran. Perche’
l’Iran riacquisti il ruolo di potenza regionale che gli spetta
senza che cio’ si traduca in una minaccia alla sicurezza dei suoi
vicini. Ma la rivolta di Teheran ci impone anche di non dimenticare nel
negoziato chi si batte per la liberta’. Perche’ un regime
oppressivo al suo interno -specialmente con le donne- non sara’
mai davvero un partner affidabile. Ma soprattutto perche’ il
dominio della religione come legge statale non puo’ essere imposto
a lungo su una societa’ evoluta.

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