Querele, briganti e libertà di stampa

martedì, 8 settembre 2009

Questo articolo è uscito su “Vanity Fair”.
Ferruccio de Bortoli si limita a fare una visita privata alla redazione dell’”Avvenire”, sabato 5 settembre, perché sarebbe imprudente manifestare solidarietà a Dino Boffo con un editoriale sul quotidiano che dirige, “Il Corriere della Sera”.
Il giorno prima Stefano Folli ha scritto, in effetti, che nella vcenda Boffo si configura un caso di “character assassination, ossia l’omicidio virtuale di qualcuno di cui viene distrutta a tavolino l’immagine pubblica”. Ma una denuncia di tale gravità non viene ritenuta degna della prima pagina del giornale su cui scrive, “Il Sole 24 Ore”. Invano cercherete un titolo di protesta su “Il Messaggero”, “La Stampa” e gli altri quotidiani a larga diffusione, se si esclude “La Repubblica”.
Nella logica di chi lo ha pianificato, il pestaggio mediatico che ha indotto alle dimissioni Dino Boffo, colpevole di avere espresso con tono prudentissimo dei rilievi sullo stile di vita di Silvio Berlusconi, è destinato a rapida dimenticanza. Per tutti, tranne che per gli operatori dell’informazione, caldamente invitati a imparare la lezione.
Era il 18 agosto quando il presidente del Consiglio dichiarò in un’intervista con Alfonso Signorini, il direttore di “Chi”, settimanale di sua proprietà: “Avvenire è caduto nel tranello delle calunnie contro di me”. Poco più di una settimana dopo, il 27 agosto, il manganellatore mediatico Vittorio Feltri -colui che quattro mesi prima si era distinto nella pubblicazione delle fotografie (introvabili) di Veronica Lario a seno nudo per invitarla a tacere- sferrava il colpo contro Dino Boffo. Interessante la motivazione con cui Feltri rilanciava a tutta pagina una notizia già edita (su “Panorama”) ma non ancora strumentalizzata. Il direttore del “Giornale” ha teorizzato il metodo della ritorsione a mezzo stampa. Lo ha fatto citando Bettino Craxi (contro il quale naturalmente si era scatenato, ai tempi in cui Craxi cadeva in disgrazia) che usava dire, durante le sue sfide con De Mita e Andreotti: “A brigante, brigante e mezzo”.
L’idea è per l’appunto questa. Se attaccano il padrone del mio “Giornale”, e di un’intera grande casa editrice, e di quasi tutte le televisioni italiane, che guarda caso è anche l’uomo più ricco d’Italia nonché il capo del governo, faremo in modo che se ne pentano. A brigante, brigante e mezzo. Colpiscine uno per educarne cento. Se Boffo si fosse trattenuto dall’avanzare critiche, oggi sarebbe ancora al suo posto. E gli altri s’impauriscano pure: il massimo dell’ipocrisia viene raggiunto sui giornali che, confidando nel senso di nausea provocato da tale vicenda sull’opinione pubblica, si limitano a predicare “basta col fango, basta col gossip, no alle opposte lobby della rabbia”. Come se le bugie e i comportamenti del premier fossero una faccenda privata, invocano una tregua. E si guardano bene dal commentare la querela presentata da Berlusconi contro cinque giornaliste de “L’Unità” (niente farfallina di strass, per queste colleghe) dopo l’altra querela mossa per stoppare le famose, ma inevase, dieci domande di “Repubblica”.
Per fortuna la tregua verrà rotta sabato 19 settembre da una manifestazione nazionale per la libertà di stampa, indetta dal sindacato dei giornalisti (Fnsi). Così all’estero si accorgeranno che l’opinione pubblica italiana, pur nella differenza delle idee politiche di ciascuno, non è ancora del tutto intorbidita come la descrivono. E’ vero che il nostro sistema mediatico somiglia sempre più a quello della Russia di Putin, ma per fortuna deve fare i conti con una cultura democratica difficile da sradicare.

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