La nazione proletaria e la congiura straniera

giovedì, 11 novembre 2010

Questo articolo è uscito su “Nigrizia”.
Della politica estera italiana, ormai, più che discutere si sussurra. Cosa mai andrà a fare così spesso in Russia, il nostro primo ministro? Gazprom è il partner ideale dell’Eni, o diventerà anche azionista dell’azienda di famiglia? Perché mai un rotocalco di gossip qual è “Chi”, sempre di proprietà del primo ministro, mette in pagina un servizio fotografico apologetico sul colonnello Gheddafi? E col vecchio rais egiziano Moubarak gli affari vanno di bene in meglio? E i soci sauditi?
Mistero. Sempre più spesso l’anziano primo ministro annulla le visite ufficiali all’estero, sostituendole con viaggi privati dei quali non rende conto a nessuno. Così come non rende conto della fortuna economica che da bravo statista ha deciso di investire nei paradisi fiscali.
E così si sussurra, per esempio, di un deterioramento dei rapporti storici fra l’Italia e gli Stati Uniti d’America cui non piacerebbe affatto la nostra politica energetica. Girano le voci più incontrollate. Talora scatenano fantasie di complotti, come nel caso dell’invettiva del senatore Giuseppe Ciarrapico contro il “traditore” Fini al Senato. Quel riferimento ai copricapo ebraici (“kippà”) che i dissidenti di Futuro e Libertà dovrebbero mettersi in testa, è stato poi dissimulato in vari modi. Ma a Roma tutti conoscono la diceria da cui trae origine: la convinzione, cioè, che Gianfranco Fini sia eterodiretto, nel suo sganciamento da Berlusconi, con una regia orchestrata all’estero da chissà quale potentato misterioso.
Ai fascisti vecchi e nuovi piace sempre immaginare il proprio Capo come rappresentante genuino del popolo (anche se detiene un patrimonio e ostenta uno stile di vita che il popolo può solo sognare), cui si contrappone il solito “nemico esterno”. Naturalmente ci si può sbizzarrire con la fantasia: una centrale massonica? La Cia per conto di quel socialista di Obama? La Goldman Sachs? Poco importa. Si tratta comunque di un potere finanziario contrapposto alla nostra cara “nazione proletaria” guidata dal tribuno del popolo. Dunque immaginarlo col naso adunco sarà démodé ma funziona sempre.
Al di là di queste paranoie, è indubitate il cambio di baricentro della politica estera italiana. Guardiamo a est molto più che a ovest. E ciò pare dipendere non da una scommessa lungimirante sul riequilibrio degli assetti mondiali –ad esempio la Cina resta esclusa dalle premure di Berlusconi- ma piuttosto da affari trattati senza alcuna trasparenza. Quasi che la politica estera nel 2010 potesse fondarsi sul fascino personale o sulla ricchezza personale del primo ministro.
Ci credo che poi gli Stati Uniti ci guardano storto. Senza bisogno di scomodare le perfide lobby plutocratiche, visto che il plutocrate al vertice ce lo abbiamo noi.

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